venerdì 22 luglio 2005

È un pomeriggio di sole. Sole pieno. Sole che acceca, pare.
Anche se è tragicamente sabato, siete state a lavoro per fare un corso su un programma di disegno per il quale, il capo vi ha informato, diventerete il punto di riferimento dello studio. Pausa alle 13 e alle 15 di nuovo a studio. In quelle due ore siete tornate a casa, avete imballato l’imballabile, avete preparato l’occorrente, avete mangiato al volo e avete caricato la macchina del vostro uomo in modo che ve la potesse portare direttamente al mercatino, cui voi avete deciso di arrivare a piedi, e prendersi contestualmente la vostra. Gli avete fatto ciao ciao e gli avete detto “ci vediamo tra due ore e un quarto”
se non che…
guidate nel primo pomeriggio afoso di un’umida località di mare, guidate piano, non ha senso correre, mettete anche quelle strane cose il cui significato sfugge ormai ai più: le frecce. Ma non basterà.
non basterà perché all’ultimo incrocio prima di arrivare alla strada dove parcheggiate abitualmente una tipa in una macchina bianca non vi vedrà e deciderà di entrarvi dentro con tutta se stessa, carrozzeria inclusa (apprenderete poi che non ha proprio frenato, non ci sono segni a terra). E non contenta, probabilmente nel panico più totale, dopo avervi dato la prima botta ed aver subito l’effetto rinculo invece di premere il pedale del freno ripremierà quello dell’acceleratore dandovi la seconda botta della giornata in meno di 5 secondi, un record.
da quel momento tutto inizia ad essere confuso. Voi avete perso conoscenza (trauma commotivo, diranno i medici in seguito), la prima cosa che ricordate è la visione della ragazza alla guida dell’altra macchina che si accascia sul volante, visione attraverso lo specchietto della vostra 313. a quel punto dopo aver raccolto tutta la vostra adrenalina vi vedete uscire barcollando e andare precipitarvi a vedere se l’altra sta bene. Il cellulare registra che alle 15 e 03 avete chiamato il vostro uomo, ricordate di avergli detto dell’incidente, ricordate vagamente di essere scoppiata a piangere mentre parlavate, lo choc. Ricordate il figlio dell’architetto che doveva venire anche lui a studio e che passava di lì con la macchina nel momento esatto in cui avete sentito i due botti, ricordate che ha cercato di tranquillizzarvi, che è stato molto carino, che vi ha accarezzato (abbracciato?) per calmarvi, che non vi ha riso in faccia quando gli avete detto a ripetizione che bisognava avvisare studio che sareste arrivati in ritardo. Ricordate, vagamente, di aver pensato che vabbè stavate bene: avreste ritardato ma avreste comunque fatto il corso e finanche il mercatino.
Da lì in poi i ricordi sono un puzzle confuso di cui vi hanno sottratto dei pezzi. la vigilessa, la rotella metrica (deformazione professionale il fatto che mi sia rimasta impressa?). finalmente uno scorcio del mio uomo arrivato di corsa, so che dopo mi rimprovererà bonariamente per i nuovi capelli bianchi che sono comparsi sui lati del suo viso. L’ambulanza, fascetta per la pressione, è bassa, non ti muovere, collare, tiriamola fuori, barella spinale, sorriso di un pompiere (pensiero cosciente il giorno dopo: perché sono venuti i pompieri?), mi spiace sentirai una puntura, flebo, il più grande mal di testa della mia vita, senso di nausea, desiderio di qualsiasi cosa dalla morfina in giù che possa alleviare il dolore alla testa, mal di schiena e la barella spinale è una tortura.Senso di impotenza, legata, rumori assordanti  in direzione Grosseto, voglia di oblio, difficoltà a rimanere sveglia, senso di ovattamento, sembra quasi di staccarsi dal corpo per quanto si è stanchi ed è il dolore che ti riporta giù. L’unica cosa che senti è dolore, l’unica coscienza che ha di te è il dolore che provi, sai che vivi perché provi dolore, è spaventoso. Ospedale, visita, ti fa male qui? Spingi contro le mie mani, radiografie, tante, osservazione, TAC, negativa, a casa. Dolore alla spalla, tre giorni dopo ti confermeranno una microfrattura della clavicola, braccio al collo, collare, ghiaccio.
e mentre piano piano riprendi controllo su te stessa ti accorgi di come è diverso il mondo se lo guardi da una prospettiva diversa. Di come questo tuo stare immobile su una barella, col collo bloccato, una tartaruga rovesciata, limiti talmente tanto la tua possibilità di visione che l’unica possibile è quella dentro te stessa. Di come sei fragile e ancora spaventata. Di quanto sia diverso subire un incidente da soli piuttosto che insieme alla persona che ami. Del fatto che ci sono dei vuoti di memoria che nessuno potrà mai riempire e, quando la mente tornerà ai fatti di questa giornata, ti sentirai ogni volta come ti senti in questa barella, come un’equazione incompleta. Del fatto che stranamente ti preoccupi quasi più dell’altra ragazza che di te: in fin dei conti sai come stai tu, ma lei? Del fatto che ti dispiace per le conseguenze che lei pagherà, per il ritiro della patente. E mentre fai questi pensieri ti chiedi se sia normale tutto questo. Se è così che deve andare. Sai che sei fatta così, in quel momento ti basta.
Ti senti smarrita, completamente. La mancanza di quei pezzi di memoria ti annichilisce: ritrovarli, capire, ti sembra l’unico sforzo verso il quale devi tendere. Ti affanni ma non ci arrivi, c’è un grande vuoto e in mezzo tanti pezzetti di te. Pensi a quest’uomo che ami, che è al tuo fianco, pensi a come deve essersi sentito quando ti ha sentito al telefono, pensi a come si sia sentito quando ha visto le ambulanze, pensi a come si sia sentito quando non l’hanno fatto entrare. E pensi a quanto lui sia sempre forte per compensare la tua debolezza, pensi a quanto senza lui ti sentiresti persa, pensi che lui è l’unico in grado di rimettere a posto i pezzi senza far danno. E improvvisamente lo smarrimento non c’è più. Mentre le ombre si allungano ritrovi la pace in un corridoio con la mano stretta in un’altra, l’unica possibile.

sabato 16 luglio 2005

ESSERE DONNA OGGI...


 



Nel tran-tran mensile di ogni donna ci sono giorni particolari.
la particolarità, nel mio caso specifico, si traduce in:


- presenza di bolle dolorose in parti allucinanti nel corpo tipo il sopracciglio


- grazioso sparpagliamento di brufoletti e bollicine su tutto il viso, che assume una curiosa somiglianza ad una pizza margherita


- gonfiore mostruoso del tipo che i jeans stringono all’attacco coscia come se fossero bagnati


- due tette che sembrano tre da quanto sono due


- umore di un grizzly coi calli


- reattività di un bradipo stanco


- capelli in condizioni che definire pietose è segno di grande ottimismo

vabbè, direte voi, è la natura, sono, in fin dei conti, 5 giorni su 28 e in genere quelli in cui scontiamo il fio della nostra fertilità insoddisfatta.
e invece no.
cioè sì, per le persone normali.
evidentemente io normale non sono se sono al 12° giorno del ciclo e mi trovo nell’esatta situazione di cui sopra.
visto che dovrebbero essere i giorni più fecondi del mio ciclo, sto valutando le seguenti ipotesi:
a. è una forma di anticoncezionale naturale poiché  in questi giorni sono attraente come un rinoceronte squamoso


b. è una forma di anticoncezionale naturale poiché il mio umore è simile a quello di marc tyson
c. è una forma di anticoncezionale naturale poiché la persona con cui divido oltre che il letto anche le altre stanze è paziente ma a tutto c’è un limite


d. è una forma di anticoncezionale naturale poiché una volta che la persona con cui divido il letto e le altre stanze ha finito di sopportarmi e rassicurarmi sulla mia inalterata capacità di attrarlo, capace che gl’è venuto sonno


e. è una forma di anticoncezionale naturale poiché la sera svengo nel letto, figuriamoci se reggo una seduta di ginnastica prima.

notate anche voi come una certa costante?

giovedì 14 luglio 2005


UNA SETTIMANA FA...


...Alle 5 e mezza la sveglia ci ha ricordato di appartenere al genere umano. Doccia e districamento capelli (in probabile sciopero per via dell’orario). In pratica alle 7 eravamo in macchina docciati, rinfrescati e pronti all’avventura. Viaggio tranquillo, scoperta dell’A15, un’autostrada allucinante tutta curve e viadotti, c’è mancato poco che rinnovassi la tappezzeria della macchina. Insomma pianin pianello e col sacchetto per il vomito a portata di mano, ce ne arriviamo a Milano. Constatazione della tristezza del cielo, pensiero sul maltempo, visione di un sole pallido e malato, senso di costrizione cosmica. Forse presi dalle riflessioni sulla qualità della vita in un posto in cui le fabbriche sono a meno di un km dalle case, sbagliamo clamorosamente uscita sulla tangenziale est e con un po’ di magheggi eccoci alla volta di Monza,dove Tiz dirà la frase del giorno (c’era un’umidità pazzesca, a dirla tutta): “non ne posso più,c’ho le lumache sui reni”. Beh, comunque, meta in via di raggiungimento. Ordini ricevuti: direzione villa reale. Direzione villa reale? La direzione villa reale a Monza non esiste. Nel senso che trovi “autodromo” “centro” e tante altre belle cose, ma non “villa reale”. Ok, chiediamo. A chi meglio che a un benzinaio? Risposta esplicativa (senza nulla, né buongiorno né arrivederci, prima e dopo) “rotonda a destra, rotonda a sinistra”. Semplice, conciso, efficace. Prendiamo, finalmente, la strada giusta. La nostra meta finale è Carate Brianza. Perché  poi tutti i paesini dell’hinterland milanese finiscano in –ate è un affascinante mistero. Passiamo davanti al bivio per Arcore e ci sembra di vedere uno strano luccichio, come di oro, sul cartello, un caso? Proseguiamo, proseguiamo e d’improvviso: la luce, Carate. Parcheggio non a pagamento e raggiungiamo gli altri. Alle 18 c’è la presentazione e siamo ancora in alto mare e nel panico più totale. Il Sergio ha dormito due ore negli ultimi tre gg e, non fosse per l’adrenalina, rischierebbe di presentare i suoi molari alla gente invece del prodotto. Noi siamo più riposati e cerchiamo di darci da fare. Trovo un’immagine e la trasformo in ciò che ci serve, disegnando gli impianti elettrici.

All’improvviso si diffonde la notizia dell’attentato a Londra. Gelo, incredulità e l’assoluta consapevolezza che tra un po’ toccherà anche a noi. Dalla tristezza ci salva la fretta assurda, il mondo non può e non deve fermarsi, sarebbe come se avessero vinto. Di fronte a quello che è successo c’è una reazione che ci nasce da dentro: la meditazione, la voglia di abbracciarsi per vincere l’aria di morte che d’improvviso cala, non ce n’è stato il tempo, forse è stato meglio così. Ma vedo Mimmi sconvolto e mi rendo conto che sta pensando in che mondo metterà alla luce suo figlio
la Bene
tra 8 mesi. Lo capisco, io me lo chiedo anche se ancora non ne ho motivo.


Si sono fatte anche quasi le due e mezza e un brontolio incessante mi avverte che il mio stomaco dell’adrenalina se ne straciccia e vuole cibo. Bene, usciamo, io e Tiz, alla ricerca di qualcosa da mettere sotto i denti. Niente panini, è troppo tardi. Ripieghiamo su una pizzeria. E apprendiamo empiricamente che la pizza a Carate non la sanno proprio fare: è alta come una ruota di bicicletta e ne ha la stessa consistenza, il gusto è di poco meglio. Vabbe’ riconsoliamoci con un gelato. E lì piacevole sorpresa. Qui in Toscana un gelato da 1,5 € (diconsi unovirgolacinquanta euro ovvero tremila lire più o meno del vecchio conio) si traduce in due gusti senza panna, un cono striminzito e anoressico. Avendo già preso la pizza prendo un gelato da unoecinquanta convinta di avere il cono anoressico di cui sopra, invece mi consente di metterci tre gusti e me lo fa enorme. Potendo escludere ogni suo tipo di dubbio su una mia eventuale denutrizione, ne abbiamo dedotto che col gelato abbondano di default, ed era pure molto buono. Morale: se siete a Carate Brianza non mangiate la pizza ma fatevi un bel gelatone.
Di ritorno apprendo, con notevole gioia (!), che il mio lavoro non si è esaurito manco per il cavolo, anzi. In pratica non sarò spettatrice silenziosa, come avevo macumbato fin dalla proposta della mia partecipazione all’evento. Dovrò parlare. PARLARE? Cazzo. Dentro di me smadonno due calendari ma mantengo il sorriso del “è tutto a posto”, quello che ogni architetto libero professionista acquisisce insieme all’abilitazione, quello che il resto della banda vuole vedere. Ok, improvvisiamo uno straccio di presentazione (e per fortuna c’è qualcuno che sa usare PP perché io a malapena so aprire le presentazioni altrui, figuriamoci farne una mia) e organizziamo un discorso convincente. In pratica dovrò spiegare le potenzialità dal punto di vista architettonico del prodotto che proponiamo e far vedere la differenza con gli impianti tradizionali. Nulla di tragico, sono cose che so. Ho solo l’ansia da palcoscenico, porca paletta. In realtà non ho neanche tempo di pensarci, bisogna sbrigarsi. La presentazione è a Monza, bisogna andare in hotel, predisporre tutto, lavarci ché altrimenti si ricorderanno di noi per l’odore e non per il prodotto, attuare il minimo sindacale della presentabilità, insomma. Mentre ci accingiamo a caricare la macchina, come da copione, inizia a piovere. Nel valutare i fatti seguenti tenete bene a mente che è il 7 di luglio. La strada dove siamo è un senso unico stretto, naturalmente una macchina dovrà passare a tutti i costi e ci toccherà smettere di caricare, fare il giro dell’isolato e tornare a caricare. Il tutto sotto la pioggia. Riusciamo a stipare tutto in macchina e ci dividiamo: chi sarà parte attiva inizia ad andare a sistemare, gli altri (essenzialmente i compagni di quelli di cui al punto precedente) vanno a sistemarsi a casa di Sergio. Vi ricordate che avevo accennato che stava piovendo? Ecco, al signore della pioggia deve essergli un po’ scappata la mano. Ad un certo punto ha iniziato pure a grandinare, ma non la grandine normale grande come brecciolino, no no. A noi è toccata quella geneticamente modificata, grande come noci. Ci siamo guardati terrorizzati e con la stessa paura inespressa che quelle breccole potessero spaccarci il vetro. Considerando anche la quantità di grandine a terra si era nella versione tangenziale di milano del sequoia adventure di gardaland. Non si sa come, arriviamo. E riscarichiamo tutto sotto la pioggia battente. Montiamo tutto ciò che deve essere montato e poi gli uomini vanno a casa a cambiarsi. Io mi faccio portare dalle ragazze la roba e mi cambio nei cessi, pardon nei bagni, siamo pur sempre in un quattro stelle. Tempo necessario all’operazione: circa 6 minuti, trucco compreso. E badate che ho cambiato tutto tranne le mutande. Insomma mi sono spogliata, inguainata in un body antistupro-strizzaciccia ché mimetizzare il rotolo di coppa sotto seno mi sembrava il caso, messa la camicia bianca contorcendomi come tarantolato per evitare che la stoffa strusciasse contro la mia nuova pellicina bella bella ma ancora taaanto sensibile, messo il gilet (sì l’aria condizionata era un po’ a manetta), i pantaloni neri, i sandali col tacco, la spuma ai capelli, l’ombretto (tre diversi colori, sfumati), la matita, il mascara e due rossetti (ero indecisa sul colore). Il tutto in sei-minuti-sei. Un po’ tipo superman che entra che è una scamorza e esce strafigo. La mia sensazione di essere strafiga è durata fino all’arrivo in sala, dove c’erano due ragazze trentenni rampanti appuntate con gli spilli, di quelle che nascono già con la linea perfetta dell’eyeliner e che da gattoni sono passate direttamente ai tacchi 13 a stiletto. Da cigno a brutto anatroccolo in quaranta secondi netti. Ma il mio uomo mi troverà bellissima e tanto basta. Il contingente maschile della formazione ci metterà più di sessanta minuti per rendersi presentabile, e dico tutto. Il resto è storia, la presentazione è andata bene. Poi il buffet. All’inizio tutti ad avvicinarsi con fare casuale tipo sono qui per caso poi hanno tirato fuori le cavallette che erano in loro e hanno spazzolato tutto. Ad un certo punto ho temuto per il centrotavola floreale. Sempre sotto la pioggia torrenziale abbiamo iniziato il viaggio di ritorno. Ci siamo dovuti rifuggiare sotto ad un ponte sull’autostrada perché era impossibile guidare, non si vedeva nulla per la troppa pioggia, un incubo. Ed allora, ancora bagnata e coi piedi a pezzi, la fra chiede a Tiz di darle le scarpe che gli aveva detto di riprendere dalla macchina di Sergio insieme ai vestiti. E Tiz fa “le scarpe?!? Quali scarpe?” non vi riporto la scena isterica che ne è seguita, vi dico solo che il mio uomo ha pensato, candidamente, che lasciare due paia di sandali in macchina di una persona che abita a 500 km da noi non fosse un problema ma anzi, quasi un intermezzo simpatico per movimentare la nostra vita che noia-che barba. Voglio dire: chi di noi non ha più di due paia di sandali (non scarpe estive, sandali) comodi (leggi senza tacco) nell’armadio? Ecco. La cosa ancora più comica è che essendomi messa il body e volendo, per ovvi motivi, evitare di uscire dal bagno con il reggiseno in mano, lo avevo incartato nella carta igienica e inguattato nella scatola da scarpe. A tutt’oggi quindi mi mancano all’appello n. 2 paia di sandali comodi n. 1 reggiseno. Un bilancio positivo, insomma.
dopo aver chiarito le nostre reciproche posizioni il viaggio è proseguito bene. Credo, perché all’altezza di
La Spezia
la donna del monte ha detto ko e si è abbioccata tragicamente risvegliandosi con le luci vicino a casa. Una vera dura, insomma. ‘n’c’ho più ’r fisico, decisamente.


Socrate
Assomigli a Socrate! A muoverti e' l'amore verso il sapere, inteso non
sterilmente come nozionismo, ma come vivace e
continua ricerca del vero. Trovi giusto
rimetterti in discussione continuamente, perch
cio' che veramente ti importa e' conoscere cose
giuste, non vantarti di quante cosa sai. Per
questo ami confrontarti con gli altri, e per
questo ritieni le persone che si trincerano
dietro alle loro certezze fragili e deboli. Il
tuo problema e' che spesso distruggi le
convinzioni degli altri, e questo ti puo'
rendere impopolare.

A quale personaggio storico assomigli?
brought to you by Quizilla

martedì 12 luglio 2005

SEI MESI FA...

ho bussato ad una porta con la paura e la voglia che mi aprissero.
ho dovuto vendere il prodotto che so vendere di meno, me stessa.
sembra che io ci sia riuscita...


post inutile, volevo solo ricordare a me stessa, nero su bianco (se fa ppe' ddì), che sono sei mesi che lavoro qui e che le cose non sono così nere come sembrano, basta provarci.

martedì 5 luglio 2005

UN TRANQUILLO W.E. DI PAURA...


giovedì sera, tornata a casa, abbiamo preparato armi e bagagli e siamo partiti. non prima di aver convinto obbligato una gattina isterica ad entrare nel trasportino. non prima di essermi incazzata con Sfigata perchè pensava fosse furbo prenderla di sorpresa o tenderle gli agguati. voglio dire: la gatta è nostra, decidiamo noi come gestirla. e questa non me la sono tenuta.
il viaggio verso RM è andato tutto sommato bene, si sono trovati argomenti comuni (io e lei eravamo in classe insieme in prima liceo poi lei venne bocciata ma ha continuato nella stessa sezione quindi i prof erano gli stessi) e io ho perfino evitato di farle notare che avere una laurea in lettere non significa saper scrivere o avere un buon senso critico, un po' come diceva Eraclito: "sapere tante cose non insegna ad avere intelligenza" (apprò, questa frase la stampai e la attaccai dietro la cattedra a memento per i prof...bei tempi). insomma sono stata brava.
poi. poi siamo passati dalla QFS prima di andare dai miei e lei ha salutato prima Sfigata di me (ah mi ero scordata di annotare qui che Sfigata, che lei e la SFC non sopportavano perchè ci provava con Tiz, tutto ad un tratto è diventata la loro migliore amica...tanto da non farsi vedere per un anno e mezzo al mercatino e poi venirci con lei, un capolavoro di simpatia...) e ha fatto dei pezzi assurdi a Tiz sul fatto che lui quando scende non è mai a casa (e neanche io, ma i miei non mi trattano così soprattutto in presenza d'altri).
con un immaginabile conseguente stato d'animo siamo andati a dormire.
il giorno dopo il controllo dalla dietologa: ho messo un kg, di acqua. lei non ci ha dato peso, era contentissima perchè da gennaio ho mantenuto esattamente la quantità di grasso, mi ha concesso di riprendere la dieta a ottobre o novembre per perdere quegli altri 10-15 kg che vorrei (secondo le tabelle sarebbero altri 25, ma anche no). in pratica mi ha detto "ciao" e io dentro di me sentivo un lago di panico che avanzava...non che io non sia capace di regolarmi da sola o di seguire la dieta di mantenimento (che è rimasta la stessa)... la sensazione di una mano che ti lascia è spiazzante, anche se è un premio.
poi a fare la spesa, a comprare cose per il mercatino che qui non trovo e ci è scappato anche un passaggio veloce a studio. il tempo per rendermi conto che mi mancano un bel po', che mi viene il magone ancora adesso a salire quelle scale e a suonare ad una porta di cui una volta avevo la chiave. un posto dove c'erano rapporti che andavano oltre il lavoro, dove non c'era acidità, dove non dovevo mordermi la lingua in continuazione perchè una collega ha la spm perenne... tornerò? mi piacerebbe molto, quando sarà.
la sera a cena dalla nonna di Tiz per il compleanno dello zio. e lì sorpresa: è andato tutto bene. ma non benino, proprio bene. del tipo che dopo cena ci siamo messi a vedere le foto vecchie della loro famiglia, quelle di Tiz da piccolo (voglio bimbi come lui, è ufficiale) e la QFS che mi spiegava tutto. bah.
visto l'andamento tranquillo della serata e visto che la serata di sabato era stata destinata ad una pizzata a casa mia, abbiamo deciso di invitare la QFS e la SFC e, sorpresa, hanno accettato. forse hanno realizzato che tra meno di un anno si starà tutti intorno ad un tavolo a festeggiare qualcosa, chi lo sa?
insomma un sabato destinato alla spesa e alla preparazione di tutto il necessario per la pizza serale. pizza che è stata buonissima. Tiz è bravissimo, anche considerando che era dal '97 o '98 che non venivano fatte la pizze nel forno a legna.
la serata è andata bene, non è stato necessario togliere i coltelli e l'atmosfera era rilassata e tranquilla. bello.
e poi, domenica, la sorpresa dell'annuncio di una nuova vita che inizia. siamo grandi, ormai. e non sai se quello che provi è più gioia o una dolce malinconia per tutte le cose passate, per il fatto che siamo grandi, per una nuova fase della vita che tra un po' inizierà anche per noi, perchè è arrivato il momento della seconda generazione della nostra amicizia e non ci sembrava che la prima avesse esaurito il suo corso. non siamo più ragazzi, siamo mogli, mariti, conviventi, genitori... siamo un qualcosa di diverso, bello ed importante ma comunque diverso...