martedì 25 luglio 2006

Uno sguardo che rompe il silenzio
uno sguardo ha detto ciò che penso
uno, uno sguardo
uno sguardo può durare un giorno
la partenza senza mai il ritorno
uno, uno sguardo

Tutto ciò che so, te lo dirò
e tutto ciò che non sai dire spiega il mare.
Sento qualcosa di grande, più di questa città
La bugia che rompe ogni silenzio
è la bugia che dico solo se non penso
ti prego non fermarti proprio adesso perchè dopo non si può

Stop! Dimentica
questo silenzio,
non vale neanche una parola nè una sola e quindi,
Stop! Dimentica perchè
e tutto il resto andrà da se
dimenica perchè
dimentica per me.

Una storia grande come il mondo
una storia lunga tutto il giorno
una , una storia
una bugia di una parola sola
è la tua più affascinante storia
una, la tua storia

Stop! Dimentica
questo silenzio,
non vale neanche una parola nè una sola e quindi,
Stop! Dimentica perchè
e tutto il resto andrà da se
dimenica perchè
dimentica per me.

Stop! Dimentica
questo silenzio,
non vale neanche una parola nè una sola e quindi,
Stop! Dimentica perchè
e tutto il resto andrà da se
dimentica perchè
dimentica per e,
tutto ciò che so te lo dirò
e tutto ciò che non sai dire spiega il mare
ti prego non fermarti proprio adesso perchè dopo non si può

martedì 18 luglio 2006

Ho trent’anni, quest’anno. Trent’anni di cui più della metà passati alla ricerca di qualcosa. La verità, la consequenzialità degli eventi, chi e soprattutto perché? Sembra così assurdo che possa essere successo solo per una frase acida che le ho detto. Sembra tutto così confuso.
un anno fa, giorno più giorno meno, dopo l’incidente mi sentivo come un enorme vuoto e in mezzo tanti pezzi di me. Era una sensazione familiare, in un certo qual modo. Ricordo poco, quasi nulla, di quella settimana. Il vuoto e in mezzo tanti pezzi di me. Solo che non c’è nessuno che possa aiutarmi a rimetterli insieme. Io stessa ci ho provato tante volte, ci provo da sedici anni, e mi ferisco sempre con gli spigoli acuminati di pezzi che non combaciano mai. Le risposte, ora le avrei volute. Capire cosa scatena l’odio, capire come un ragazzo di 15 anni possa essere così cattivo da staccare la spina, così perverso e malvagio da chiudere una porta e farmi vedere che mette la chiave in tasca. Tu sei mia, ora, sempre. Aveva ragione. Dovunque io vada, per quanto mi allontani, per quanto io cresca e sia felice, io sono sua. Sono sua nel terrore che mi avvolge nel buio di case e stanze che non conosco, sono sua nel rifiuto di una mano sulla bocca, sono sua ogni volta che germoglia uno dei semi dell’odio che mi ha lasciato dentro e ogni volta mi stupisco di quanti siano.
vorrei risposte, non le trovo. Non le troverò mai, lo so, e la cosa mi uccide.
a volte è un ricordo, una frase sentita o letta, una canzone, sensazioni, sguardi…e precipito giù. Giù nella mia indeterminatezza, giù dove, per quanto sia enorme, non arriva l’amore del mio uomo. Sono sola, lì in fondo. Sola con quei pochi ricordi. E allora rileggo quello che anni fa scrissi cercando di seguirne un filo. Me lo devo, lo faccio ogni volta. Non voglio cancellarli, quei ricordi. Sarebbe stupido anche solo provarci. Devo ricordare a me stessa che ci sono, che non sono pazza. Li avrei potuti rendere pubblici quando ancora non erano ricordi, sedici anni fa. Ma ero troppo annullata, era tutto troppo grande e pesante. Avrei dovuto dimostrare quello che non si può dimostrare, avrei dovuto difendere me stessa da tutto il resto, il paese, il mondo. Ho preferito dover difendere me stessa da me stessa. E ho sbagliato. Ho legittimato un comportamento, mi sono resa ancora più vittima. Ma nei miei tredici anni faceva tanto freddo. Chi parla di violenza dovrebbe sapere di cosa parla e, fortunatamente per lui o lei, il più delle volte non lo sa. Per questo scrivo, non parlo. Parlare significa interagire…sarebbe come parlare di hegel a un bambino delle elementari. Ci sono traumi che non si riesce a raccontare, per vergogna, per paura, perché sono tanti pezzi e non ci sono fili rossi per seguirne la trama. So cos’ero prima, so cosa sono diventata dopo e in mezzo il vuoto. Un vuoto denso, pesante. Un vuoto indeterminato, che non ti fa capire qual è stato il tuo ruolo, sei davvero stata solo vittima? Veramente non c’erano alternative o eri troppo piccola per coglierle? Penso troppo, l’ho sempre saputo. Penso troppo perché le azioni di qualcun altro mi hanno modificato la vita e non ho mai saputo perché. E allora penso all’interno, per così dire. E non mi concedo tregue, non si fugge da se stessi.
e me lo chiedo sempre, come abbia fatto lei. Noi così simili e così diverse. Lei che subiva violenza vera senza violenza  in stanze in penombra, io che subivo molestie con violenza in stanze indeterminate di nero. E la stessa risposta: devo. Noi così annullate da non capire neanche cosa ci spingesse ad accettare qualcosa che era inaccettabile. quando anche dire un no non significava nulla, quando potevi riempire la stanza di no ma non sarebbe servito, quando le lacrime ti mostravano vinta, e lo eravamo, e facevano sentire più potente chi ce le aveva fatte versare. Quando hai paura che non uscirai più, quando vuoi che finisca, quando ti ribelli e scateni solo altra violenza. Queste siamo state, io e lei. Lei era un pulcino, io ero quella forte. Ero così presuntuosa che la vita ha dovuto spezzarmi. Vinta, completamente. Tabula rasa, da ricostruire. Rifare una mappa di se stessi evitando luoghi. Non si può parlare del dolore, allora non lo sapevo, ora lo so. Il dolore non si capisce, fa male, non si accetta. E ti dicono di dimenticare, se anche fosse facile. Non si dimentica. Tutti con facili ricette, tutti sconvolti dal fatto che non vuoi dimenticare, allora sei masochista, sono passati anni… non capisce, la gente, che è meglio cercare di non dimenticare. Tanto se tu cerchi di sfuggire al passato è lui che ti riprende. E ti riprende alle spalle. Una violenza è una condanna e non finirà mai, ci sarà sempre. Tanto vale accettarlo. E parlarne. Solo che è difficile trovare qualcuno che non stringa i pugni, che capisca, che non si senta a disagio. E poi, comunque quel vuoto c’è. Per quante parole puoi spenderci non lo riempirai mai. Due persone sanno le risposte, una è morta, l’altra con lo sguardo dice ancora sei mia, non posso chiedere, non posso sapere. Chi ha giocato con la mia vita, chi ha messo la mia carta sul tavolo raccontando particolari che erano miei e suoi e tali dovevano rimanere. È questa l’essenza del mio vuoto, questa la mia indeterminatezza, il peso che mi porto dentro. Ho dovuto aumentare il mio, di peso, per far finta di non sentire quello dentro. Poi mi sono arresa. Quando finirà, tutto questo? Perché non posso essere semplicemente felice? Perché ci sono ancora fessure in cui entra polvere di ricordi, frammenti. Non posso vivere isolata, lontana, sotto ad una campana. E non so spiegare cosa scateni tutto questo…a volte è un colore, o una frase di un libro, una musica. E non è giusto che sia così, non si è mai al sicuro. So tenere a bada i miei demoni, oggi sto così, ne scrivo, stasera starò già meglio, lo so. Ormai sono rituali che conosco. A volte è più dura e cadi così in fondo che ti sembra di non vedere la superficie. Sai che c’è. E che il tuo uomo, con la massima delicatezza possibile ti aiuterà, come sempre, col suo amore, con un sorriso, a uscire. Vorrei non dovergli dare questo ruolo, so che per lui è pesante. Non posso farci nulla, se non sentirmi colpevole, anche di questo. È difficile stare con me, lo è sempre stato. Penso troppo. E non mi permetto di dimenticare, mai.
mentre salvavo questo post con la data, come sempre, mi sono resa conto che oggi è il compleanno di Daniele. È buffo, è strano, è ironico che oggi mi senta così. È per lui che è iniziato tutto…istinto senza un perché, sensazioni complete e leggere…questo è stato lui, poi: il vuoto. Un vuoto inframmezzato da flash, come guardarsi da fuori, come estraniarsi. Una stanza, un letto, un comò, l’armadio con gli specchi, il comodino a sinistra, la serranda, la foto, l’ombretto scuro per un vestito bianco che ha in qualche modo portato a tutto questo. Flash, niente di più. E su tutti un volto, che dice sei mia. Lo stomaco si chiude, un senso di oppressione. Poi passa, come sempre. Fino alla prossima canzone, frase, colore, sensazione…senza scampo.

giovedì 13 luglio 2006

nel 1982 una bambina quasi seienne stava vivendo una bella estate. il settembre successivo avrebbe cominciato l'avventura della scuola e questo la rendeva euforica e paurosa. non aveva un gran concetto di Patria ma disegnava bandiere su ogni foglietto di carta che le capitava e faceva notare a tutti come il cocomero fosse la nostra bandiera in versione "naturale". quella bambina vedeva la partita e non ci capiva nulla, intorno a lei i suoi genitori, la sorellina piccola, gli zii, il suo zio preferito. un urlo, suo zio che corre fuori al balcone: campioni del mondo campioni del mondo, campioni del mooondoooooo!

nel 2006 una bambina quasi trentenne sta vivendo una bella (e caldissima) estate. insegue un'avventura che le cambierà la vita e questo la rende euforica e paurosa. ha sviluppato un concetto di Patria che cerca di rendere coerente anche al di fuori di uno stadio, non mangia cocomero perché non lo digerisce più. questa bambina ha visto la partita e come al solito non ha capito nulla del fuorigioco, intorno a lei amici nuovi e sinceri. un urlo, le lacrime che non riesce a fermare...Campioni del mondo, campioni del mondo, campioni del moondoooooo!

martedì 4 luglio 2006

GERMANIA - iTALIA : 0-2

Noi saremo pure parassiti e mammoni...ma voi rosicate per i prossimi 4 anni. e zitti, grazie.

lunedì 3 luglio 2006

BILANCI...MONDIALI


E siamo di nuovo a dei Mondiali di calcio. Di nuovo a sospirare, arrabbiarci, sperare e sentirci parte di qualcosa in cui negli altri giorni non crediamo. Spolveriamo lo spirito patriottico. E per fortuna che ci sono gli europei!
Era tanto che non seguivo la nostra nazionale. Due anni fa ero troppo schifata da totti-lama style, quattro anni fa mi stavo per laureare e tra nonno in ospedale il prof che negava e un progetto che non riuscivo a seguire, il calcio erano l’ultimo dei miei pensieri…
e siamo a sei anni fa…gli europei...
sei anni fa Tiz era appena partito ed ero sola e rabbiosa. Per la prima volta la nostra storia subiva un distacco fisico superiore ai due giorni, fu devastante. Nella prima estate del nuovo millennio successe di tutto. Io e Lei eravamo sole ed arrabbiate. E ci sentivamo bene. Fu un’estate di cornetti caldi al cioccolato alle 3 del mattino, di canzoni fino all’alba, di erba, tanta, di tante cazzate. Fu l’estate di Boissy, delle nostre storielle erotiche in rima. Fu un’estate in cui non erano gli squilli del mio uomo a farmi tremare. Fu un’estate in cui sia io che Lei mettemmo in gioco tutto quello che di sentimentale avevamo in quel momento. Lei metteva tacchi alti per chi non meritava neanche le infradito, io ero tanto, ma tanto, confusa. Amavo il mio uomo ma mai come in quell’estate capii che lo stavo dando per scontato. Per Lui sapevo che sarei andata bene anche orba, senza gambe, grassa…lo sapevo, mi ha sempre amata. Forse, nel momento in cui lui aveva fatto, da solo, una scelta che ci avrebbe condizionato entrambi, volevo mettermi in gioco, per la prima volta, a prescindere da Lui. E lo feci. Morsi spalle che non avrei neanche dovuto guardare, giocai, giocai, giocai…e piansi, nella cucina di Mile, parlando con il “mio” Sir, parlandogli di Lui, della nostra storia. Per inciso, l’unico contatto tra noi fu quel morso sulla spalla. Fu un periodo abbastanza particolare: mi sentii molto viva, come non mi ero sentita mai, molto vuota quando mi accorsi che non si vive di adrenalina (almeno non io), molto più cosciente di me. Mi ricordo la telefonata a Specchio: lo stupore, la sua rabbia…ma come? Cosa ti ha spinto a valutare un tradimento che ti propongo da più di un anno? Non lo so. L’adrenalina? Il gioco? La mancanza del mio uomo? Eppure fu vera gioia quella che provai quando mentre mi interrogavano per l’esame di tecnologia del recupero edilizio, a settembre, mi girai e vidi Tiziano, lì, ancora in divisa, bellissimo, e finito l’esame corsi tra le sue braccia, che erano e sono ancora il posto più bello in cui sto. Quell’estate passò e con essa tutta l’adrenalina. Fui sola per tutte le estati a seguire ma non provai più neanche la minima necessità di qualcosa di diverso…
ripenso a questo perché l’altra sera, mentre stiravo, mi sono rivista l’ultimo bacio e mi sono ricordata delle sensazioni e di quanto m’ero sentita una troia nel raccontargli dei cornetti, delle canzoni e del morso. Di come l’avessi fatto una sera all’uscita dal cinema (forse il film era proprio quello…), di come mi fossi vergognata a guardarlo negli occhi. E non per il morso… per il cuore che accelerava per telefonate non sue… mi piace pensare che è anche grazie a questo che ora siamo qui, mi piace ripensare a quel periodo perché è stato forse il periodo più bello che ho passato con Lei e sicuramente il più confuso anche con Lei: pieno di cose che non capivo e di sentimenti che non volevo accettare. Mi piace rivedermi adesso e scoprirmi serena e decisamente più proiettata nel futuro…e ho di nuovo Lui e in un certo qual modo anche Lei…