sabato 31 maggio 2008


L’altra sera m’è capitato di aprire un vecchio disco di salvataggio. Un disco di salvataggio della mia cartella a studio. L’ultimo studio in cui ho avuto una cartella “fra”: quindi due anni fa, più o meno. Dentro c’era un mondo, il mio mondo di due anni fa.


E mi sono trovata, lungo mail, foto, conversazioni MSN, ricordi, a rendermi conto di quanto la mia vita sia cambiata in questi due anni.


La fra è tornata Francesca, in questi due anni. Ha disimparato a volersi bene, come tempo fa. La fra viveva con consapevolezza succhiando la vita, Francesca si relaziona con se stessa in terza persona e si lascia vivere.


E non è il fatto che io sia tornata quasi al peso di partenza: quello è uno degli effetti, certamente non è una causa.


E non ci sono motivi particolari, né particolari reminescenze dolorose…semplicemente ad un certo punto la fra ha deciso di di prendere una strada conosciuta, rassicurante e passo a passo è tornata indietro. La fra ha scelto l’apatia perché è stata prima impaurita e poi depressa…e non è riuscita neanche a dirlo, forse per paura. Paura di possibili assenze che l’avrebbero fatta sentire peggio.


La fra pensava di esserne uscita, tempo fa; Francesca c’è ricascata.


La fra credeva che un figlio avrebbe dato alla sua vita una certa stabilità; Francesca s’è resa conto che un figlio non cura il male dell’anima e non è neanche giusto che lo faccia.


E ora la fra non c’è più e a Francesca manca tanto.


E se Francesca solo sapesse come farla tornare subito, lo farebbe immediatamente.


Francesca sente di aver bisogno di aiuto ma sa di non meritarlo. Sa che imparare ad amarsi, a volersi bene, è un percorso in salita che deve essere percorso magari con qualcuno a fianco ma senza che quel qualcuno ci porti per mano. Sa che è colpa sua e di nessun altro. Sa che il mondo ha, assolutamente, giustamente, occupazioni diverse dal prendersi cura di lei. Sa che deve imparare ad essere felice di quello che è e di quello che ha e che deve farlo da sola.


Francesca ad un certo punto s’è permessa di dimenticare che non si possono chiedere sconti alla vita. Che lei non può farlo. S’è permessa di dimenticarlo, di dimenticarne le conseguenze.


Fino ad arrivare ad essere qualcosa di diverso da quello che si sa di poter essere. Francesca s’è aggrappata a tutto pur di farsi del male. Con metodo, con precisione…galleggiando sulla vita per non affrontare una qualsivoglia fatica. Francesca trova ogni cosa insormontabile, è sempre sull’orlo delle lacrime, è scazzata, scontenta, rancorosa, proiettata su se stessa più di quanto sia sano esserlo.


L’unica cosa su cui Francesca si sente lucida è suo figlio. Oddio, trova insormontabile anche occuparsi di lui, a volte. Ma è lucida e decisa su cosa e come vuole per lui: quello che vuole e soprattutto quello che non vuole dargli.


Due anni fa mi sentivo giovane, allegra, piena di speranze e pensavo che il mondo potesse essere mio. Oggi mi sento vecchia dentro.


Aprire una finestra sulla me stessa che sono stata m’ha sconvolto.


Sono stanca. Ma non del mondo. Sono stanca di me. Stanca di Francesca. Voglio tornare ad essere la fra perché è quella che sono veramente. Quando mi metto in gioco, quando non mi lascio sopraffare da cose che sì fanno ancora male e ci saranno sempre ma non si può scegliere l’autodistruzione per scappare. Basta. Sono stanca della situazione attuale, stanca della scelta più facile.


Francesca si concede di tutto: si concede di mangiare, si concede l’inedia, si concede la sciattezza…si dice che da domani cambierà. Si concede di farsi del male per poi sentirsi in colpa per ogni cosa che mangia, per ogni cosa non fatta…ma poi penda che domani cambierà. Francesca non permette mai a quel domani di arrivare, lasciandosi vivere, tenendosi a galla, ha creato millemila domani che non arriveranno mai più.


Francesca deve imparare a fare le cose per se stessa e non per assecondare qualcuno, per non sentirlo o per ottenerne l’approvazione. Deve ritrovare il coraggio della scelta, la sua forza, quella che poi, nei momenti di necessità, ha sempre tirato fuori.


La fra, quel che ne è rimasto, si chiede però, con assoluta lucidità, come fare. La fra sa, c’è già passata, che ci sarebbe bisogno di buttare un po’ tutto in aria, da fare un lavoro di fino su se stessa…ma sa anche che, stavolta, tutto ‘sto gran tempo non le è concesso. Sa che suo figlio non può aspettare che lei tolga ogni mattoncino per analizzarlo e poi decidere se tenerlo oppure no.


E forse è proprio da lì che la fra deve ricominciare: da suo figlio, dalla sua famiglia, dalle piccole grandi cose che l’accompagnano nella vita. Senza più pensare a quello che è stato, a quello che non è stato, a quello che poteva essere. Cercando di vivere un presente che è già un dono di per sé.


Ho un mio background, ho cose che hanno fatto male ma devo smetterla di aggrapparmici per consentirmi di sentirmi in credito con la vita.


La fra deve tornare, deve tornare per suo figlio, per l’uomo che ama, per gli amici, per chi le vuole bene. Ma soprattutto la fra deve tornare per Francesca.


 


Ecco, l’altra notte pensavo a tutto questo. Ero sola, mi sono addormentata tardissimo, ho dormito 3 ore…ma così bene non dormivo da mesi.



lunedì 26 maggio 2008

Che poi, mi scopro a pensare, certe cose, altre cose, una mamma non dovrebbe farle.
Io penso che una donna, come anche un uomo, siano liberi di vivere la propria intimità come credono anche se hanno dei figli...ognuno ha i propri spazi, la camera da letto è offlimits, punto.
Provo però orrore e raccapriccio per quelle che, con bimbo al seguito, continuano imperterrite a voler dare un'immagine di sé completamente incoerente col loro essere mamme. Quelle che si vestono da strappone, quelle che con le tette di fuori, quelle coi pantaloni a vita bassa col perizoma di tulle o le gonne girofica, col sandalo tacco 12 al limite del sadomaso, quelle truccate forte, pesante, quelle che c'hanno la scritta "guardami" luminescente sopra.
Ora, io capisco che essere una mamma non significa annullare la propria femminilità né tantomeno il proprio io...ma hai proprio necessità di uscire con la prole al seguito vestita così? voglio dire: vacci in discoteca lasciando i bimbi alla babysitter, oppure vestiti così per un'occasione speciale...
ma che bisogno c'è di essere una mamma fescion nella vita di tutti i giorni, nelle passeggiate il sabato pomeriggio, nella spesa alla coop, nella fila alla posta?
Ma queste donne non si rendono conto della visione distorta che trasmettono ai propri figli? nel loro essere sempre acchiappo-mode on non si sono mai minimamente fermate a pensare a che modello daranno loro? avremo così generazioni future di (ex) bambini che vedranno la donna come un oggetto di arredamento, che sottoporranno la fidanzata di turno allo stillicidio di un confornto perenne con una mamma sempre perfetta e stilosa, una mamma da esporre, una che senz'altro non ha mai giocato per terra col figlio né s'è mai messa a cucinare con e per lui. Una mamma quattrosaltiinpadella.
Oppure bambine che bambine non lo sono state mai. Perché a 8 anni le mandiamo in giro con la pancia scoperta e la cintura di strass, perché il primo tacco lo porteranno alle elementari, perché saranno sempre vestite alla moda e dovranno per sempre mentalmente competere con l'immagine perfetta della mamma di cui sopra.
Una generazione di possibili coglioni e troiette. Un bel guadagno generazionale, non c'è che dire.
C'è un bimbo all'asilo con l'enp che è firmato dalla testa ai piedi. Porta i jeans a vita bassa per far vedere l'elastico della mutanda griffata, l’ho visto coi miei occhi. Se ti fa notare la sua maglietta, griffatissima, e tu minimizzi dicendo che sì è carina, sì è colorata, sì quello che vuoi ma in fondo è una maglietta…lui ti guarda inorridito e ti dice che è di dolceegabbana. Ha 3 anni e un futuro stiloso davanti a sé: un bimbo fortunato, non c’è che dire.

E io sarò bacchettona, sarò quello che volete, ma credo che in questo ci sia qualcosa di profondamente sbagliato. Che dietro a tutto ciò c’è quel famoso realizzarsi attraverso i figli, quel volerne fare dei vincenti, dei “forti”. Peccato che poi magari questi “vincenti” te li trovi sul lettino dello psicanalista quando si accorgono che è tutta corazza, che è tutto fumo.

Credo che nessuno ti obblighi con una pistola alla tempia a fare dei figli, credo che i figli siano una scelta (e smettiamola con questa storia che i figli capitano, che è una scusa troppo facile) e che proprio per questo i figli devono essere cercati quando si è maturi per crescerli e per dargli veramente qualcosa. Per dargli una famiglia, per dargli un’immagine positiva di sé stessi e della vita, per dargli la capacità di scegliere la strada migliore: non la più facile, non la più difficile, semplicemente la migliore per loro.

Credo che quando scegli di diventare madre, scegli un percorso di vita, scegli e accetti la responsabilità della crescita e dello sviluppo caratteriale, intellettivo e sociale di altri esseri umani, scegli di diventare un modello. Non si è pronti a diventare genitori quando la coppia non ci basta più, si è pronti quando si è consapevoli di questo.

E una mamma agli occhi del figlio non può essere un oggetto sessuale, non può essere una modella, non può essere un’amica. Queste cose i figli se le troveranno da soli, crescendo, al di fuori della famiglia.

Una mamma è una che gioca, che fa i biscotti, che ti fa ridere, che ti consola, che ti consiglia, che ti educa, che ti insegna ciò che è giusto e ti corregge se fai qualcosa di sbagliato, che sa dare l’esempio, che generalmente quando ha tempo lo dedica ai figli e non a dare un’immagine di sé che coi figli stessi ben poco ha a che fare.

A me pare, sempre di più, che in questa società c’è un gran bisogno di mamme. Ma di mamme vere e consapevoli, però.

lunedì 12 maggio 2008

MAMMITUDINE E SESSUALITA’

 

È da un po’ che ci penso, a come l’arrivo dell’enp abbia cambiato la mia vita.

La mia sfera “intima” per così dire. E non è qui si sia smessa l’attività (voglio dire l’abbiamo ripresa tipo 20 gg dopo il parto), anzi dal punto di vista strettamente fisico si direbbe che il parto ha fatto solo che bene. E non è una questione di “fare l’amore”, il nostro fare l’amore si è modificato, è vero, ma non per l’enp…semplicemente, dopo tanti anni, fare l’amore non è più un modo per conoscersi, quanto piuttosto per “parlarsi”, per confermarsi.

No, quello che è cambiato è il sesso. Quella parte che con l’amore ha a che fare solo attraverso la assoluta fiducia che riponiamo nell’altro.

Io ero una di quelle da gancio al soffitto, ero una di quelle che aveva (e ha tuttora) una libreria dedicata quasi solo a libri erotici, ero una di quelle che a 20 anni s’era letto tutto il divin marchese, una di quelle che conosceva histoire d’o quasi a memoria, una bimba di boissy (e questa la capisce solo Mile, ma va anche bene così), una a cui piaceva andare il giro con addosso l’odore suo e del suo uomo (ho sempre trovato da incivili lavarsi, dopo), una da segni, da maglie a collo alto, una che a volte preferiva stare in piedi.

In realtà sono ancora tutte queste cose. La mia sessualità, le mie fantasie, sono le stesse.

Una volta mi è stato detto (scritto ^^) che io sono il sesso, l’erotismo…che fa così parte di me da non poterlo rinnegare. Vero. Verissimo. Sono sempre stata convinta che l’erotismo non abbia età, sesso, peso, colore e di conseguenza non ho mai limitato questo lato di me a volte consapevole altre no.

Però se da un lato la mia sessualità è rimasta la stessa, dall’altro il mio essere mamma ha cambiato la visione generale che ho di me. E se mi fermo, anche poco, a pensarci, mi viene da dirmi che una mamma certe cose non le fa. Come se una mamma non potesse avere una sua sessualità, come se il suo appagamento non potesse più passare anche da lì. Come se certi muscoli e certi organi fossero ormai deputati non più anche al raggiungimento di un piacere squisitamente fisico, come dire, ma avessero sublimato il loro scopo nel compito meraviglioso di concepire, cullare e far nascere una nuova vita.

E io, invece, quella parte di me giocosa e sperimentatrice senza remore la rivorrei indietro, davvero. Non che io non sia sessualmente soddisfatta. È una questione che, ancora prima di arrivare all’aspetto fisico della cosa, attiene al modo di vedermi.

A volte capita il momento di follia, col corpo che urla e bypassa totalmente il cervello, e ritrovo quella me stessa di tempo fa, mi riconosco e mi chiedo dove sono stata.

Sto iniziando un percorso. Sto cercando di far coincidere queste parti di me, di ritrovare l’unità del mio io. Di buttare fuori tutti i messaggi esterni che, da ogni parte, sembrano dirti che, appunto, una mamma queste cose non le fa.

Una mamma certe cose le fa, e anche con gran gusto direi.

A volte penso addirittura che una mamma che non ha paura né vergogna della sua sessualità sia una mamma più sana. Non come donna, non dal punto di vista della mera soddisfazione fisica.

Io sono stata cresciuta con il concetto, mai detto apertamente, che una brava ragazza (il che preclude ad una donna onesta, una buona madre, etc etc) certe cose non le fa. E infatti io, certe cose, non le facevo. Il mio percorso di scoperta sessuale di me e del mondo circostante è stato completamente avulso dal mio nucleo familiare. Non ho mai visto i miei genitori baciarsi…una sfera intima che alla fine si sa che c’è (anche perché la mera educazione sessuale m’è stata data senza problemi) ma che non riesce mai a entrare nella sfera familiare. E le domande, i dubbi, le curiosità…hanno trovato risposte negli amici.

Se fossi stata abituata a pensare al sesso come a qualcosa di normale, da non nascondere, forse avrei anche avuto il coraggio di dire quello che, allora, mi stava succedendo. Ma se pensi che il sesso, anche nella sua normalità e scoperta, sia una cosa da nascondere…figurati se ti viene da parlare della sua non consensualità, voglio dire…tanto ti senti in colpa comunque.

Non voglio questo per i miei figli, non voglio che abbiano remore nel dirmi qualsiasi cosa. Voglio dargli una famiglia sana, voglio far capir loro che mamma e papà si amano. E quando sarà il tempo anche che mamma e papà hanno i loro desideri, che non sono burattini, che a letto non leggono topolino, che l’odore della loro camera da letto non è qualcosa di sbagliato, che è normale provare certe cose.

Per ora mi accontento di ritrovare la mia, di sessualità.  E a volte non è facile. Perché sembra, nel mio cervelletto bacato, che io debba, in quei momenti, scordarmi di essere una mamma. Il che con un’enp che dorme (per fortuna alla grossa) due paretine più in là non è che sia facile.

Fortuna che c’è il nido…

sabato 10 maggio 2008

un anno fa ci hai lasciati.
una morte annunciata, per quanto si può essere pronti a perdere una persona amata.
se io fossi una vera credente saprei per certo che sei in un posto meraviglioso, perché, se esiste, quello è il tuo posto.
a me piace immaginarti qui vicino a noi, che ci guardi, che ci sei.
ti voglio bene nonno Angelo, ancora, sempre.

mercoledì 7 maggio 2008

IL NIDO


L’avventura scolastica dell’enp è iniziata. Ed è iniziata in netto anticipo rispetto a tutte le previsioni materne. Mi ero detta che stando io a casa il nido non era necessario, bla bla bla…

Poi. Poi una mattina mi sono guardata allo specchio e mi sono detta “non ce la faccio più”.

E me lo sono detta con molta onestà, ignorando i feroci sensi di colpa che quell’affermazione comportava.

In realtà il motivo per cui l’enp va al nido è (anche) che vorrei tornare a lavorare. Vorrei sentirmi realizzata, oltre che come mamma, anche come persona lavoratrice. Il mio lavoro mi piace, l’ho scelto, l’ho sudato, è la mia strada. Ed è totalmente incompatibile con un bambino che, assolutamente giustamente, pretende attenzioni h24.

Un bambino che ha diritto ad una mamma serena e realizzata.

Un bambino che ha diritto alla socialità e al gioco.

Mio figlio non cerca la compagnia. Un po’ per carattere, un po’ per mancanza di occasioni. Il nostro stare lontani da amici e parenti ha come conseguenza anche il fatto che gli unici volti che l’enp vede su base regolare siano solo quelli di mamma e papà.

Mamma e papà sono mamma e papà, non amichetti, non compagni di giochi. Come è giusto che sia. L’enp è un bambino che gioca da solo, che in realtà spesso vuole giocare da solo. E questo, francamente, mi preoccupava un po’. Ok l’individualità, è carattere, ma il rischio di sfociare nell’asocialità si presentava piuttosto alto. In realtà l’enp è un bambino che va volentieri con tutti, si lascia prendere in braccio tranquillamente…ma non ti cerca lui. Lui accetta, non cerca.

Un altro fattore che ha pesato sulla scelta è stato il fatto che, chiaramente, la nostra casa (come quella di chiunque altro, immagino) è a misura di bambino ma fino ad un certo punto. Se infatti ho tolto tutti i soprammobili e ammennicoli vari ad altezza bambino, mi è impossibile togliere tv, stereo, libri…tutte cose che l’enp non può e non deve toccare. Così, se da una parte è parte del suo percorso educativo il capire che ci sono cose che non si devono fare, dall’altra non è neanche giusto che la sua giornata sia interamente scandita da “Piergiorgio non si fa”, “Piergiorgio non si tocca”, “Piergiorgio la mamma ti ha detto di no”.

E così è arrivato il nido. Uno spazio dove lui può fare quello che vuole, dove viene stimolata la sua curiosità, dove soprattutto viene stimolata la sua socialità.

Chiaramente insieme alla decisione sono arrivate le critiche. Come se lo abbandonassimo in mezzo ad una strada. Il nido per ora è una scelta, non un obbligo. S’è deciso di iniziarlo prima che divenisse un’urgenza e che non ci fosse alternativa proprio per non caricarlo di ineluttabilità.

L’enp, dal canto suo, ha gradito tantissimo. S’era detto iniziamo con un’ora al giorno con la mamma, poi un’ora e mezza, dopo una settimana magari la mamma può anche allontanarsi per un’oretta e così via.

Il primo giorno siamo stati due ore e mezza e non m'ha cercata neanche con lo sguardo, il secondo giorno ce lo abbiamo lasciato per un’ora e dal terzo giorno è stato lì da solo e tranquillo.

Quella che sta finendo è stata la quarta settimana (purtroppo senza continuità) e ha iniziato a mangiarci e a dormirci senza problemi. Quando vado via mi degna di uno sguardo poi torna a giocare con gli altri bambini o da solo.

 

Essere genitori dell’enp è una frustata a sangue sull’ego. L’enp è un bambino totalmente indipendente. All’inizio pensavo che fosse colpa mia, questo suo poco attaccamento a me come anche al padre.

Poi ho capito.

Si pensa sempre che i figli siano una nostra appendice, una nostra creazione. In fondo in fondo anche una nostra realizzazione: la dimostrazione che diamo a noi stessi e al mondo di aver saputo lasciare un segno, in qualche modo.

Poi un giorno, nel tuo cammino genitoriale, ti rendi conto che non fai un figlio per te, lo fai per lui. Che la sua indipendenza è un regalo che ti e si fa. Che ti cerca quando ha bisogno di te, come è giusto e sano che sia. Che quando è disperato grida “mamma” perché sa che tu ci sarai e saprai consolarlo. Ma non ha bisogno di te per essere felice e questa è la cosa più bella che possa darti, quella che, nonostante sembri l’esatto contrario, ti rende più speciale: il suo chiamarti è frutto di una precisa scelta, non di una consuetudine. Mio figlio sta con chiunque, mangia con chiunque, gioca e ride con chiunque ma quando ha bisogno di sentirsi coccolato viene da me o mi chiama.

Dal canto mio spero che mantenga questa sua indipendenza. Lo spero per lui, chiaramente. Che questo suo non aver bisogno di una persona in particolare per essere felice lo accompagni il più possibile nella vita; che sappia, in questo modo, regalarsi la serenità.

lunedì 5 maggio 2008

5 maggio 2008

 

Per molti oggi non è che un giorno qualsiasi.

Per pochi è solo un giorno di manzoniana memoria.

Per un po’ di gente è il proprio compleanno o quello di una persona cara…

 

…ma per noi, amore mio, è sempre una data speciale. E mentre chi si ricorderà ci farà gli auguri per il secondo anniversario, noi festeggiamo invece i nostri primi sedici anni insieme.

Quando eravamo ragazzini ci pensavo sempre a questi 16 anni. Ci pensavo e mi chiedevo se saremmo mai arrivati a festeggiarli, come, dove. Questa data, proprio questa, mi affascinava. Oggi la nostra storia, da quando ci siamo promessi di impegnarci in modo più serio, ha la metà esatta dei nostri anni: dal prossimo anno gli anni passati insieme saranno più di quelli in cui eravamo soli.

E, ora come allora, ti amo.

Tanti auguri, amore.

UN ANNO, LA FEBBRE, LA TORTA DI ZIA VERO E MAMMINA


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