MIO CUGGINO…
Mettetela così: avete, cioè io ho, voi spero di no, una cugina stronza. O cretina. Una qualsiasi persona con il beneficio del dubbio di un intelletto funzionante sulla busta della sua partecipazione per i miei genitori (suoi zii carnali, appunto) avrebbe scritto: Zio X e famiglia, oppure zio X, zia Y e Alessandra (ti concedo Ale, tiè). No, la perla di simpatia di mia cugina (con la quale pare che purtroppo io condivida dei geni) ha scritto: zii (orrore) X, Y e cugina. In pratica mia sorella non è abbastanza degna di essere considerata una persona dotata di un nome proprio ed è diventata di colpo nome comune. Ora voi direte: vabbè è cretina, è passata dall’asilo alla laurea senza fare le tappe intermedie perciò non sa né scrivere né comportarsi. Però. Però la mia cara cuginetta, sangue del mio sangue seppur in parte, non è nuova a cose del genere. Vabbè era piccola, vabbè era arrabbiata, vabbè un cazzo. Alla festa per le nozze d’argento dei suoi genitori (avevamo tipo 15 anni perciò piccola sì ma neanche di primo pelo) lei, oggetto dei commenti canzonatori miei e di un’altra cugina (non ho mai fatto finta di non essere stronza), non trovò altro modo per ferirmi che quello di usare Ale, mia sorella, sua cugina. Prendendola in giro per la sua diversità. Io sono una persona che perdona ma raramente dimentica (a proposito, sappiatelo) ma ci sono cose che proprio non mi riesce di perdonare. Questa è una: usare una persona che non si può difendere per ferirne un’altra. È un’azione vigliacca e bastarda. Perché l’altro, quello che con quell’azione hai voluto ferire, non ha il titolo per incazzarsi ufficialmente e per ribattere sullo stesso piano e perché la persona che usi invece si trova nell’impossibilità di difendersi. Io ero talmente sconvolta che andai al tavolo dei miei e con le lacrime agli occhi gli intimai di andarcene e con me l’altra cugina. Per fortuna eravamo al caffè. Chiaramente questa cugina per me è morta. No, non gli ho augurato, come meritava, di avere vicino una persona diversamente abile, di volergli bene e di trovare qualcuno che la usasse solo per ferirla. Non ho più preso il discorso né coi miei zii, i responsabili biologici ed educativi, né coi miei. Ma è come se lei non ci fosse. Se, e a questo punto dico se, andrò al suo matrimonio ci andrò per rivedere gli altri della famiglia e per rendermi conto, biecamente, di quali tra i parenti comuni probabilmente parteciperanno al mio. Però una stilettata simpatica la tipa se la merita…allora pensavo…quando manderò le mie, di partecipazioni, cosa potrei scriverci? Non so tipo cugina stronza e consorte, oppure figlia di zio N. e marito…
E sempre per rimanere in tema… il vostro zio bipolare, quello che se gli va bene è normale altrimenti è depresso e scontento e ce l’ha col mondo (e soprattutto con le figlie, sì è anche misogino, dei suoi fratelli) ha svariate figlie. Una di queste ha elaborato un pensiero che vale la pena riportare qui per i posteri. Tutti noi sappiamo che il perdono più difficile è quello che dobbiamo dare a noi stessi e fin qui è universalmente noto. Mia cugina ha deciso che il perdonare se stessi non significhi affatto riconoscere le proprie colpe, capire i propri sbagli e perdonarsi per averli compiuti, no no. Nel cricentrico pensiero perdonare se stessi significa invece decidere che gli altri sono stronzi e che noi siamo innocenti e puri come agnellini. Lei ne è convinta. Il dramma è che suo padre, illustrandoci questa meravigliosa teoria, avesse l’aria di sentirsi il padre chessò di Kant o Hegel. Ah, tanto per farvi capire il tipo, lo stesso zio tempo fa ha definito altre cugine, che erano andate a convivere, “puttane da treno” immagino di aver raggiunto anch’io questo status a questo punto e devo dire che più conosco mio zio e più lo trovo un complimento. Bella famigliola eh?